Fa(c)t

Elena Marinelli
6 min readJan 5, 2021

Fatto uno.

Il 4 gennaio 2021 c’è stato qualcuno che si è permesso di raccomandare a Serena Williams di ritirarsi, in diretta TV dalla Romania: pesa troppo ed è vecchia, ha detto, e dovrebbe voler bene al suo passato folgorante e dire ciao allo sport.

Fatto due.

Camila Giorgi, tennista italiana numero 76 del mondo, a fine 2020, ha pubblicato sul suo profilo Instagram delle sue fotografie in lingerie. Senza alcuno sponsor.

Ricominciamo.

Ion Tiriac è un ex tennista, numero 8 del mondo nel 1968, mentore di alcuni ex tennisti di fama mondiale — Guillermo Vilas, Boris Becker — , attuale presidente della Federazione di tennis della Romania, manager e facoltoso uomo d’affari, la cui società gestisce anche il Torneo di Madrid, un torneo 1000 tra i più importanti che si gioca in primavera.

Francobollo del 2015 che lo ritrae.

Ieri sera, il 4 gennaio, leggo sul Corriere.it la notizia riportata da Gaia Piccardi: Ion Tierac, ospite in Romania della trasmissione Network of Idols di Tvr in Romania dichiara: «A quell’età e con il peso che si porta addosso, Serena non si muove più agilmente come faceva una volta. È stata una giocatrice sensazionale ma se avesse un minimo di decenza, si ritirerebbe! Decenza da ogni punto di vista…» e poi: «Con tutto il rispetto, se Serena pesa 90 chili io vorrei vedere qualcun’altra. Qualcuna tipo Steffi Graf…»

I problemi di questa dichiarazione, a parte l’ovvio, sono:

  1. Un imprenditore ricco dentro il mondo del tennis sta dicendo a una tennista leggendaria in attività cosa dovrebbe fare con la sua carriera, quando dovrebbe ritirarsi e soprattutto che dovrebbe vergognarsi. Avere la «decenza» di ritirarsi con quel fisico significa questo: dovrebbe guardarsi allo specchio e capire che è arrivato il momento di fare dell’altro, di ritirarsi dai campi da gioco, di non indossare più i completi da tennis, di non presentarglisi più davanti agli occhi, perché il suo fisico non sta più bene con quello che ha addosso. Forse, vorrebbe dire che non è mai stato bene lì dentro. Ma almeno prima vinceva tutto. Ripetutamente. Adesso no, quindi non è più legittimata a fare ciò che vuole.
  2. Serena Williams non sa quando si ritirerà, o forse sì e non ce lo vuole dire perché sono fatti suoi — possiamo speculare, ma vale solo se includiamo una motivazione tennistica: battere il record di Margaret Court? Vincere un altro Slam? Ritirarsi il giorno dopo Roger Federer? — e non dovremmo nemmeno chiederglielo. Anche se lo pensiamo, non siamo amic* suoi, dovremmo tenerci il pensiero affogato bene dentro, per poi impacchettarlo e dimenticarlo, perché il suo ritiro non sarà conseguenza del suo fisico, di quanto pesa o di come sono fatte le sue gambe. Nella sua vita è sopravvissuta due volte, d’altronde.
  3. L’imprenditore ricco e famoso ha un punto di vista che non è neutrale. Non è una persona qualunque per il mondo del tennis e dunque dovrebbe essere conscio di ciò che dice riguardo a una delle sue atlete migliori. Non è la prima volta che lo fa, che giudica, e anche l’altra volta ha messo al centro del suo dire Serena Williams.
  4. Le persone che hanno una voce, hanno un pubblico, non hanno detto nulla a riguardo.

Serena Williams non ha nessun bisogno di essere difesa e. non è la prima volta che le capita né probabilmente sarà l’ultima. Nel 2018, il presidente della Federazione francese di tennis, Bernard Giudicelli, annuncia il dress code anche al Roland Garros: «L’abbigliamento di Serena quest’anno non sarà più accettato, bisogna rispettare il gioco e il posto. Tutti vogliono godersi lo spettacolo».

Serena indossava una tuta Black Panther contenitiva, come una moderna Wakanda, fatta apposta da Nike per contrastare i problemi di pressione e i rischi di embolia dovuti al post parto: era tornata a giocare poco dopo la nascita di sua figlia; Nike fa della polemica un momento di comunicazione, come spesso succede con i suoi atleti, e questa è la reazione:

Dal profilo Nike su twitter.

La reazione di Serena arriva invece allo Us Open, quando si presenta in campo vestita con un body monospalla e il tutù, in versione nera e bianca.

In generale, Serena Williams dedica alla body positivity molta parte del suo lavoro e della sua presenza, anche in campo, perché sa che per le donne afroamericane rivendicare la propria bellezza è una battaglia doppia: contro l’estetica dominante bianca e contro quella magra. Serena Williams usa molto spesso la moda — quella degli altri e la sua — usa la parola, usa i mezzi che le sono più vicini per affermare continuamente il fatto che non deve giustificarsi per quello che è e per come è fatta e chiunque altr* non dovrebbe.

Serena Williams c’entra con Camila Giorgi, perché hanno in comune le premesse: arrogarsi il diritto di giudicare un corpo per quello che appare con l’occhio di chi lo guarda e metterlo in relazione con il lavoro che si fa.

Il momento sportivo di Camila Giorgi non è brillante, ma non si è ancora ritirata, né ha detto che intende farlo o che i suoi interessi lavorativi sono mutati. I suoi post non sono correlati a campagne di marketing o altro. Semplicemente: ha deciso di mettere sul suo account personale delle sue foto in lingerie.

I commenti sono di grande parte maschile. L’occhio che guarda e giudica è quello maschile, e quindi i casi che questo occhio approva sono due:

  1. Camila Giorgi può dedicarsi alla professione di modella perché a giocare a tennis non è brava abbastanza;
  2. Camila Giorgi deve dedicarsi all’attività di modella che crea un certo piacere all’occhio maschile, perché «va bene solo per questo».

Il risultato è che o si sminuisce il corpo perché non è bravo abbastanza in quello che si suppone debba fare — giocare a tennis e vincere tutto — o lo si sminuisce perché la sua unica utilità, dato che non è bravo abbastanza, è dare piacere a chi lo guarda. Un piacere fisico e sessuale.

In entrambi i casi — quello di Williams e quello di Giorgi — il problema è la premessa: il corpo che decade, che è vecchio, che non è bello da vedere e il suo esatto contrario, il corpo perfettamente abile a soddisfare i pruriti altrui esistono solo se messi in relazione con chi lo guarda. In entrambi i casi la gravità delle affermazioni — di Ion Tiriac come dei commentatori seriali di Instagram — sta nel fatto che il punto di vista giudica per diritto a priori, solo perché può scrivere o parlare in TV, solo perché ha spazio e una connessione internet. Solo perché una foto esiste o un corpo esiste. E il non detto è che una donna non può stare nel corpo che vuole e mostrarlo come vuole, ma solo nel corpo che si pretende sia giusto per lei.

Fat shame. Lo stigma del corpo grasso è il saggio di Amy Erdman Farrell, tradotto in italiano da Dorotea Theodoli e pubblicato da Tlon. Il saggio, che fa anche la storia dello stigma del corpo grasso (nasce nell’Ottocento) si concentra moltissimo sul concetto di vergogna del corpo, quando è grasso, quando non è conforme, quando è diverso da quello che dovrebbe e quindi fuori dal canone. La vergogna all’incontrario non dovrebbe esistere: il corpo magro non c’è bisogno che si vergogni, che si senta a disagio. Entrambe le prospettive contengono un pregiudizio che va messo in luce e sciolto, pezzo per pezzo e sottolineato, ogni volta che ce n’è bisogno.

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Elena Marinelli

Milano. 📚 ”Steffi Graf” (66thand2nd)“Il terzo incomodo” (Baldini + Castoldi). elenamarinelli.it