Perché?
Più o meno contestualmente ad aver acceso Spotify e fatto partire il disco di Any Other, quindi più o meno contestualmente all’inizio di Something, che è la prima traccia dell’album, ho aperto questa bozza. Ma non è che mi serva dire qualcosa in particolare.
Oggi è solo il primo giorno di un’altra nuova vita che durerà il tempo che deve, non so bene ancora quanto, e che porterà a uno sconvolgimento epocale, almeno per me e per S. Il che, se ci pensate, non vi riguarda affatto.
Da quando non scrivo più un blog, né mio né collettivo, né post su Facebook simili a post su blog, mi chiedo sempre quale sia il motivo profondo. Il perché io abbia smesso di fare una cosa che facevo continuamente. Che era diventata un’abitudine. Alla fine del ragionamento, qualsiasi cosa abbia pensato nel mezzo, arrivo sempre alla stessa conclusione, che è poi la stessa domanda, perché?, che non trova una risposta. Come quasi tutte le storie, d’altronde.
Perché? è una delle domande più banali e meno abusate del momento.
È il primo set di questioni importanti che un bambino rivolge a un adulto, ad esempio. È spesso una domanda che segue un evento sconcertante e improvviso, su cui si è pensato troppo poco. Ma è pure una domanda ambivalente: apre le porte sempre ad altro e ad altri perché. Non è una domanda definitiva, né illuminante, è solo un ponte, qualcosa che permette un passaggio, che fa attraversare due quartieri o due strade o due cose che altrimenti si guarderebbero senza potersi toccare.
È l’unica domanda che in questi otto mesi e una settimana mi sono fatta più spesso. Più o meno come i mesi prima di sposarmi. C’è un collegamento? Sì, certo che c’è. C’è per delle ragioni ovvie e meno ovvie. Le meno ovvie sono le più interessanti.
Da quando sono rimasta incinta, sono successe molte cose brutte, qualcuna bella. Molte cose brutte al Mondo, ad esempio, ed non è una coincidenza pensare alle cose brutte del mondo mentre si è avviato un pensiero ragionato sul mettere al mondo un altro essere vivente, che fra vent’anni non sarà minimamente soddisfatto di ciò che vivrà — o almeno: io lo spero, così si darà da fare per cambiare le cose proprio davanti ai miei occhi.
E allora mi è più chiaro, ad esempio, che mettere al mondo un altro essere vivente non ha minimamente a che vedere con la fiducia, con l’ottimismo del futuro, ad esempio, o con la prontezza. Per quanto preparato potrai arrivare, non lo sarai mai — e questa è una grande verità ma anche una grande ovvietà. Bisogna ripetersela ugualmente, però: la gravidanza è fatta di molte banalità. Tutte utilissime — e per quanto avrai sperato o provato a farci arrivare il Mondo a essere pronto, quest’ultimo sarà ancora meno preparato di chiunque altro.
C’è un’altra cosa che suscita domandarsi continuamente il perché: si pensa molto. Qualcuno direbbe troppo. Si pensa continuamente alle altezze, alle privazioni, ai sacrifici, al dolore fisico, alle mancanze — alle tue di figlio e a quelle che hai imputato ai tuoi genitori — agli errori, alla capacità di evitarli ma comunque di non esserne immune. Si pensa a quanto mettere al mondo un essere vivente faccia diventare in qualche modo umani. E l’umanità, in questo momento storico, non è che sia così esemplare.
«Non lo è mai stata.»
«Ci sono genitori peggiori di te.»
(Perché, tu lo sai che genitore sarò io?)
«Ce la fanno in tanti, ce la farai anche tu.»
Non aiuta: sappiatelo. Quando vi troverete a dire a un vostro amico quanto sarà bravo a fare una cosa di cui avete una idea vaga o chiara, certo, ma comunque una vostra idea, ricordate di aggiungere sempre: «Ma tanto per te sarà diverso.» e se è un bene o un male, questa diversità, poco importa. Lo saprà lui, ci ragionerà se ci vorrà ragionare.
Pensare al perché è una forma di autodifesa, una come tante, nemmeno la più intelligente. Ma sicuramente quella più irrequieta.
Oggi è successo che dopo otto mesi e una settimana, ho provato a pensare come al solito, da sola in casa, mentre piegavo le mutande, e mi sono resa conto che non avevo più molto da pensare.
Così ho smesso di piegare le mutande e ho acceso il computer prima e Spotify poi.
Come una bolla densa ho davanti tutto quello che posso immaginare che ci sia da fare. È molto. La stessa cosa che mi capita, di solito, quando mi pare di avere una cosa urgentissima da scrivere.
Now I got a kind of balance I will keep it like it takes
Stop thinking backwards